Il lato oscuro della maternità: Anna Foglietta, attrice romana 43enne tra le più quotate d’Italia, ospite a Belve (Rai Due) di Francesca Fagnani, si è raccontata senza filtri, parlando del momento difficile che ha vissuto nel 2014, quando è nato il suo terzo figlio, Giulio (l’interprete è sposata con il consulente finanziario Paolo Sopranzetti, da cui ha avuto tre figli: Lorenzo, 2011), Nora 2013, e appunto Giulio 2014). Senza troppo girarci attorno, la Foglietta ha spiegato che ad un certo punto è arrivata a vedere il suo frutto d’amore come un “ostacolo”, addentrandosi in un periodo buio. Il risvolto negativo che a volte innesca un post partum è un tema sovente taciuto, nonostante molte donne ne soffrano. Anna ha voluto narrare senza fronzoli e senza tabù la sua esperienza personale, dimostrando un’alta dose di coraggio e sincerità.
“A volte tuo figlio diventa il tuo più grande nemico. Con il mio terzo figlio ho avuto un momento di down psicologico e mi sono così arrabbiata con tutte quelle persone che dipingono la maternità come il periodo in cui dobbiamo essere sempre felici, sempre sorridenti, sempre pazienti… Non è così! Mi è capitato di percepire mio figlio come un fastidio”. Così la Foglietta innanzi a Francesca Fagnani. L’attrice ha aggiunti che sentiva a tratti un senso di soffocamento, in quanto non riusciva a ritagliarsi i propri spazi.
In particolare, avvertiva il bisogno di avere dei suoi spazi “e in quel momento lui rappresentava l’ostacolo al raggiungimento di quella esigenza. Bisogna ammettere che è molto faticoso e che psicologicamente dovremmo essere un pochino più aiutate e soprattutto dovrebbe esserci permesso di fare questo tipo di considerazione senza per questo sentirci sbagliate o sentirci meno madri”.
L’intervista è poi passata all’argomento relativo alla fede. La Foglietta non è illuminata dal fuoco sacro del credo Cristiano-cattolico, nonostante abbia celebrato il matrimonio in chiesa. “Mi sono sposata in chiesa perché è lì che ci si sposa, ma non ho finto – ha precisato – Ovviamente sono molto superficiale dal punto di vista della fede, lo ammetto. Ma ho battezzato i miei figli”.
Nel suo passato, sempre a proposito di fede e religione, ha avuto un incontro che l’ha tranquillizzata. Un prete da lei definito “illuminato” le ha dato una mano a liberarsi da un senso di colpa latente. “Ma perché? Tu ancora fai la comunione per tradizione?”, le ha chiesto l’ecclesiastico. “È stato allora che “mi sono sentita deresponsabilizzata da questa incombenza. È un prete ateo? No, diciamo che è un prete illuminato come ce ne dovrebbero essere sempre di più”, ha sottolineato la 43enne capitolina.
Capitolo bullismo: Anna ha dichiarato che in giovane età era “una bulla”. Motivo? Le è capitato di non trattare nel migliore dei modi una sua compagna. Il giochino finì quando la madre della ragazza presa di mira telefonò a mamma Foglietta che andò dalla figlia rifilandole un paio di schiaffi punitivi. “Non sono rimasta bulla – ha evidenziato l’attrice -, però oggi si esagera un po’. Appena un ragazzo fa un’esternazione un po’ più colorata su un altro, subito si grida al bullismo. Bisogna stare attenti, bisogna fare attenzione alle parole. Diamo anche l’opportunità di sbagliare a questi bambini”.
Spazio poi agli attacchi di panico, di cui Anna ha sofferto poco dopo l’adolescenza. Tutto ebbe inizio quando aveva 19 anni e sua mamma si ammalò, mentre suo padre ebbe problemi di lavoro. Per la futura attrice fu un periodo tosto. Si rimboccò le maniche e fece qualsiasi tipo di lavoro: la cameriera, le pulizie, l’aiuto-scenografa e l’addetta ai biglietti a teatro. Tanto da fare, tante preoccupazioni e tante pressioni. Da qui gli attacchi di panico e la decisione di iniziare un percorso terapeutico.
“Ero molto spaventata, molto sola, anche perché vengo da una famiglia molto semplice, con cui non potevo parlare di questo tema – ha spiegato alla padrona di casa di Belve -. L’attacco di panico era qualcosa di cui non si poteva dire nulla, anche perché adesso se ne parla tanto, ma all’epoca era un vero e proprio tabù. Gli attacchi di panico non erano riconosciuti, c’era ancora lo stigma del disagio mentale”.
Fu in quel periodo che dovette combattere contro “dei mostri, un groviglio di reazioni emotive inconsce che agivano in modo anarchico e mi bloccavano. Ho sempre avuto un po’ di paura del giudizio degli altri, che è sempre stato veramente un mostro gigantesco per me, soprattutto per una ragazza che si stava formando. A un certo punto, ho smesso di farmi la guerra da sola. Diciamo che sono diventata la migliore amica di me stessa”.