La tragedia di Colleferro ha visto il giovane 21enne Willy Monteiro Duarte morire dopo aver subito un pestaggio a sangue ad opera dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi (in manette anche Mario Pincarelli e Francesco Belleggia. I quattro, però, al primo interrogatorio hanno negato di aver picchiato il ragazzo). Sull’omicidio pende anche l’aggravante razziale su cui sono in corso le valutazioni degli inquirenti. Sulla vicenda è intervenuto il rapper Ghali, con un lungo messaggio su Instagram. Il cantante, nato a Milano e con genitori di origini tunisine, ha esordito con un secco “Giustizia per Willy Monteiro Duarte” per poi descrivere i fatti e spiegare che lui stesso si è trovato in condizioni simili in passato scampandola per un pelo. Un messaggio amaro, sofferente…
Ghaly: “Willy Monteiro Duarte ucciso dall’ignoranza”
“Willy è stato ucciso dall’ignoranza, dall’odio, dal razzismo“, scrive Ghali, parlando di “problema ricorrente nel nostro Paese”. Dopodiché l’artista milanese fa un salto nel passato ricordando alcuni episodi che lui stesso ha vissuto in prima persona e “in cui l’ha scampata per un pelo”. Rimembra così quegli attimi di paura e terrore in cui non resta che attender che si stanchino di “tirare calci e pugni”, in cui “chiedi pietà e il perché sperando di riuscire a rialzarti da terra”. L’episodio ha scosso tutta la Penisola per la brutalità e la ferocia con cui si è svolto. E soprattutto perché a perdere la vita è stato un giovanotto che viene descritto da chi lo conosceva come un ragazzo solare e simpatico, la cui unica colpa è stata quella di difendere un amico.
Ghali e il post amaro sulla vicenda di Willy
Willy, continua sempre Ghali, rappresentava gli “occhi della nuova generazione, di chi è stanco di fare a pugni, di chi cerca altro”. Dolore che si mescola ad amarezza e perdita della pazienza quello del rapper. Si, perché lui sa, lui ci è già passato da certe situazioni e conosce bene il clima ‘spericolato’ che si respira in certe zone periferiche delle città dove ci sono dei ‘branchi’ rabbiosi, rapiti, ahi noi, da alcuni ideali del Secolo Breve. Quegli stessi ideali che portarono a morte milioni di persone. Altrimenti detto razzismo. Evidentemente, per qualcuno, le tombe o peggio ancora le fosse comuni hanno un sapore nostalgico anziché di ribrezzo. Forse è meglio che tali persone, se non hanno voglia di leggersi qualche libro di storia, si ascoltino almeno Jovanotti che così canta in uno dei suoi famosi brani: “La storia ci insegna che non c’è fine all’orrore, la vita ci insegna che vale solo l’amore.”