Massimo Giletti senza peli sulla lingua. Non una novità, d’altra parte. In una vulcanica intervista rilasciata a La Stampa, il giornalista in forza a La7 ha parlato a ruota libera di tv. In particolar modo ha disquisito della situazione attuale della Rai, alla quale non ha risparmiato frecciate velenose. Il conduttore non si è nemmeno sottratto dal commentare il caso Fedez, che ha accusato a muso duro il servizio pubblico di tentata censura, innescando un caso che ha coinvolto tutti i maggiori esponenti politici, oltre ai vertici di Viale Mazzini.
Innanzitutto Giletti, chiacchierando con il quotidiano piemontese e riferendosi al caso Fedez, sottolinea come Urbano Cairo, numero uno di La7, non si è mai permesso di “chiedere qualcosa” sui contenuti che sarebbero stati trattati nelle trasmissioni della sua rete. “Sfido a chiedere a qualunque dei miei colleghi se Cairo abbia mai fatto una telefonata a Mentana, a Floris e a tutti gli altri“, ha aggiunto Massimo.
Spazio poi alle sirene provenienti dalla Rai. Recenti rumors, come ogni anno da quando ha lasciato il servizio pubblico, vorrebbero Giletti pronto a tornare a Viale Mazzini. Potrebbe davvero realizzarsi una simile trattativa nei prossimi mesi? E se sì, cosa chiederebbe Giletti? “Io sono a La7 da quattro anni e nella mia decisione sul futuro peserà il mio senso di libertà. Perché io faccio una televisione che è al “limite”. Le battaglie contro Bonafede e le scarcerazioni dei mafiosi. O quella che ho fatto, isolato, contro Arcuri non avrei mai potuto farle altrove”.
Il discorso è chiaro: a La7 non manca la libertà, in Rai a volte non si può dire proprio tutto quel che si vuole. Rai però, per Giletti, è casa, nonostante le cose siano andate come sono andate con il relativo addio del giornalista e il conseguente passaggio a La7. A Viale Mazzini, però, la politica è sempre presentissima, alla faccia di tutti i proclami fatti dai partiti nel corso degli anni (in un sol coro gli stessi politici, di qualsiasi colore e bandiera, hanno gridato: “Fuori la politica dalla Rai”. Peccato che puntualmente quegli stessi che hanno pronunciato gli slogan si siano tenute ben strette le nomine a Viale Mazzini, piazzando figure ‘politiche’ alla guida). A tal proposito Giletti afferma:
“C’è molta ipocrisia: il Parlamento, come è giusto che sia, detiene il controllo su un’azienda pubblica. Il problema è che ai tempi di Ettore Bernabei (direttore generale Rai dal 1961 al 1974 , ndDM), la massima espressione del potere e della politica, c’erano grandi dirigenti che avevano al centro il prodotto e sapevano dire no ad un certo tipo di pressioni. Oggi c’è uno scadimento di qualità e di competenza nella gestione dell’azienda. Una parte dell’azienda lavora alla grande e un’altra parte è prona ai poteri politici. In una forma di vassallaggio che mi fa molta tristezza“.
Si giunge al capitolo Fedez. Il conduttore di Non è l’Arena dà un’interpretazione originale alla vicenda abbattutasi sul terzo canale del servizio pubblico, non schierandosi in modo manicheo: Fedez sì, Fedez no; Rai sì, Rai no. Il discorso è più complesso e infatti Massimo lo enuclea con acume in questi termini:
“Quanta debolezza culturale nel non capire che basta mezza frase di personaggi così abili e influenti e sei spacciato: fai diventare martire chi, magari, non è stato neppure oggetto di una censura! I martiri veri sono altri! Questa storia racconta la debolezza culturale di una struttura che non capisce che non si possono dire certe cose. Fedez sarà pure bravo a gestire il marketing di se stesso ma è anche un artista che deve parlare di ciò che vuole sul palco. E invece tutti hanno finito per parlare del caso. Morale della storia: non ‘puoi’ censurare Fedez che ha milioni di persone che lo seguono. L’aveva detto Umberto Eco diversi anni fa che saremmo diventati schiavi dei social”.