Era il 1997 e Giorgio Cantarini aveva solo 5 anni quando fu scelto come protagonista de “La vita è bella“, l’indimenticabile film di Roberto Benigni premio oscar come miglior film straniero. Nell’opera cinematografica, Cantarini interpretava Giosuè Orefice, il bambino rinchiuso in un lager nazista insieme al padre, interpretato da Benigni, che cerca di nascondergli gli orrori del campo di stermino presentando tutto come un gioco. Oggi, Giorgio di anni ne ha trentuno, ma l’incanto del suo indimenticabile “Giosuè” continua a far parte di lui.
Lo ha raccontato in un’intervista rilasciata a “Repubblica”, in cui ha parlato del suo passato, del suo presente ma anche del futuro. “Quante volte ho visto La vita è bella? Innumerevoli, lo conosco a memoria. L’ho guardato crescendo, e ogni volta capivo di quel film qualcosa in più. Il finale mi emoziona sempre. Piango. E so di far parte di qualcosa di grande, che semplicemente mi accadde”, ha detto. Giorgio non sembra avere paura di rimanere incastrato nel personaggio di Giosuè. Anzi, l’attore accetta con gioia il ruolo che quel bambino ricoprirà sempre nella sua vita:
Giosuè mi ha accompagnato sempre. Non posso prescindere da lui e non sarebbe giusto, fa parte di me ed è un grande orgoglio. Lui viene prima? Va bene, lo accetto, mi è capitata una cosa molto bella e non c’è nulla di male. Il bambino del film è nella nostra memoria, e per me significa anche una grossa responsabilità. L’ho compreso nel tempo. Io e Giosuè abbiamo vissuto fasi diverse, per così dire, del nostro rapporto, ma adesso sappiamo qual è il posto di ciascuno. Davvero non sono prigioniero di quel bambino.
La recitazione per Giorgio è iniziata come un gioco. I genitori lessero su un giornale che Roberto Benigni stava cercando un bambino per il suo nuovo film, le cui caratteristiche corrispondevano proprio al piccolo Giorgio. Da lì, decisero di portarlo a sostenere l’audizione, senza particolari speranze. Di quel provino, Cantarini non ricorda quasi nulla, se non “qualcosa delle scene, brevi flash, memorie che mescolo ai racconti che ho ascoltato dai grandi, dai miei genitori, da mia zia”. Alla fine, però, fu scelto e la sua vita cambiò per sempre.
Poi, dopo il liceo, ha deciso seriamente di voler convertire questo ‘gioco’ in un mestiere. Dopo essersi iscritto al Centro Sperimentale di Cinematografia, ha continuato a studiare e a lavorare al cinema e a teatro. Oggi, Giorgio vive a New York, dove decise di stabilirsi definitivamente nel 2019. Durante il Covid, dovette tornare in Italia e ne approfittò per aiutare tutti gli artisti che in quel momento stavano vivendo un periodo di grande difficoltà. “Partecipai a un bando della Protezione Civile a Montefiascone, provincia di Viterbo, il mio paese. Mi presero e mi occupai di tracciamenti, i flussi dei malati positivi che si erano negativizzati e bisognava spostare in altri elenchi. E’ stata una magnifica esperienza”, ha raccontato.
Poi, dopo la pandemia, è tornato in America, dove ha ripreso la sua carriera: “A New York ho ripreso lo spettacolo Lions don’t hug di Stella Saccà, dove recito da protagonista. Inoltre, sono stato attore e narratore in A.P. Giannini – bank to the future, la storia di Amedeo Peter Giannini che fondò la Bank of America e finanziò i primi passi di Hollywood, aiutando Chaplin, Frank Capra e Walt Disney nei loro film. Credo se ne parlerà anche in Italia, penso ne ricaveranno una serie tv”.
Il suo lavoro più recente è il film “Comandante” con protagonista Pierfrancesco Favino, in cui interpreta un marinaio dell’equipaggio, ovvero il radiotelegrafista Vezio Schiassi. “Com’è Favino? Concentratissimo, eppure molto simpatico e disponibile. Quando l’ho incontrato per la prima volta, eravamo nella roulotte del trucco. Mi ero messo seduto in un angolo e lui mi ha detto ‘Ciao, tu sei Giorgio Cantarini, vero? Sei cresciuto, ma gli occhi sono sempre gli stessi’. Questa cosa mi ha colpito molto”, ha raccontato ricordando le riprese della pellicola.
Infine, Giorgio ha svelato di essere ancora in contatto con Roberto Benigni dopo tutti questi anni: “Più che altro ci scriviamo per raccontarci le novità. A volte gli ho chiesto consigli. Ci vogliamo bene, e questa cosa non finisce. Il nostro film possiede una potenza enorme che non si consuma mai. Chi, come me, lo ha visto molte volte, dopo l’ultima scena ripete sempre la stessa frase: ‘Non sono riuscito a non piangere’. Non lo dico perché ne ho fatto parte, ma penso che quel finale sia uno dei più belli della storia del cinema”.