Jovanotti è finito nuovamente nell’occhio del ciclone a causa del Jova Beach Party. Dopo le diverse polemiche suscitate dall’impatto ambientale che il Festival avrebbe sulle spiagge in cui si è svolto, l’artista è stato attaccato per un altro motivo. Si è diffusa, infatti, la notizia in base alla quale sarebbero stati assunti lavoratori non in regola per l’allestimento dell’evento. Di fronte a questo nuovo attacco, Jovanotti ha scelto di prendere in mano la situazione, rispondendo una volta per tutte sul proprio profilo Instagram.
Il tutto, secondo quanto riportato, ha avuto luogo sul Lido di Fermo, in occasione di uno dei controlli al cantiere. L’ispettorato avrebbe infatti riscontrato la presenza di diciassette facchini la cui posizione lavorativa non era regolarmente registrata. Sarebbero perciò scattata la sospensione immediata dell’attività per i diretti interessati, nonché provvedimenti per le quattro ditte, alle quali i suddetti lavoratori facevano riferimento.
Insomma, accuse pensatissime per Jovanotti, che ha cercato di mettere in chiaro la situazione attraverso una recente diretta Instagram, tenuta insieme a Maurizio Salvatori, organizzatore del Jova Beach Party. Oltre a sottolineare quanto la piaga del lavoro in nero sia una tematica da trattare con la dovuta serietà, il cantautore ha preso pubblicamente le distanze da tali accuse.
Lo sfogo di Jovanotti sulle accuse mosse al Jova Beach Party
“Io lavoro con Maurizio Salvatori di Trident dal 1988, abbiamo fatto qualsiasi cosa e non c’è mai stata una contestazione sul piano delle leggi del lavoro“, ha tuonato senza mezzi termini Jovanotti. Il musicista ha poi lasciato la parola a Salvatori che ha spiegato più approfonditamente la situazione ed esposto anche le numerose difficoltà nel reperire lavoratori nei diversi settori.
“Questo perché dopo tre anni di Covid, la metà dei facchini specializzati ha cambiato lavoro e per trovare i 700 facchini che ci servono su ogni tappa dobbiamo farli arrivare anche da 200-300 chilometri, con 7-8 società diverse che ce ne mandano 10 o 20 ognuna. Ma le conosciamo da anni. Non esiste che al Jova Beach ci sia un lavoro in nero. Al massimo abbiamo avuto qualche infrazione formale“, ha spiegato Salvatori nella diretta diffusa social di Jovanotti.
Da dove è nata dunque la questione dei lavoratori in nero? Sempre nella clip, tuttora presente sul profilo Instagram di Jovanotti, Maurizio Salvatori e il musicista hanno chiarito che si fosse trattato di una mancata comunicazione proveniente da tre delle società sopracitate, le quali, dopo aver pagato un’ammenda, hanno regolamentato la loro posizione. “Nel giro di 12 ore, dalla sera alla mattina, sono risultate a norma e infatti stanno ancora lavorando. Anche i 17 lavoratori che erano “in nero” sono qui che stanno lavorando.”
Jovanotti ha dunque smontato pezzo per pezzo le accuse mosse al Festival, prendendosela inoltre con le agenzie stampa che hanno diffuso la notizia alle sette del pomeriggio, precludendogli il diritto di replica. “È fatta a posta per non darti il tempo per replicare, è un messaggio, un killeraggio, un modo per provare a farti male“, ha tuonato il cantautore, che ha poi avuto modo di replicare alle accuse sulla sostenibilità del Jova Beach Party.
“Jova Beach Party non mette in pericolo nessun ecosistema. Non devastiamo niente. Anzi, le spiagge le ripuliamo e le portiamo a un livello migliore rispetto a quando le abbiamo trovate e questo ce lo riconoscono tutte le amministrazioni locali. […] Jova Beach è un lavoro fatto bene. Se non pensate che sia fatto bene venite a verificare, eco-nazisti che non siete altro“, ha chiosato il cantautore, mettendo a tacere le diverse polemiche.