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È mercoledì 26 novembre 2024 e su Rai 1 va in onda una nuova puntata de La Vita in Diretta. A condurre il noto programma Alberto Matano, giornalista professionista reduce da una convincente performance a Ballando con le Stelle. Parentesi danzerine a parte, ciò che è andato in onda in questa nuova puntata del talk come sempre offre spunti interessanti e lancia anche qualche critica.

Il pubblico da casa resta il più attivo ed è proprio questo a criticare alcune dinamiche di questi programmi di intrattenimento e informazione. Perché questo concetto e perché proprio connesso a La Vita in Diretta? L’esempio nasce osservando la puntata del 26 novembre, la cui prima parte, come vuole la tradizione del programma, si concentra quasi sempre su casi di cronaca piuttosto tragici. Omicidi, femminicidi, suicidi non suicidi, ipotesi, truffe; insomma, il solito filone portato avanti non solo da Matano, ma da tutti gli altri talk pomeridiani, spesso nello stesso identico orario.

Ok alla cronaca, purché sia trattata come merita: le critiche al programma

Tutto ciò che riguarda la cronaca nera intrattiene, questo ormai è chiaro. Le persone si appassionano ai casi e i programmi concentrano larga parte dei loro “blocchi” proprio su questi. È l’impostazione del format televisivo, sempre più concentrato sulla ricerca di esclusive da lanciare in diretta. Funziona così, ma a volte, fa notare il pubblico, è tutto molto esagerato. È davvero così indispensabile presenziare ai funerali delle vittime con le telecamere? È corretto – e rispettoso – fruire in diretta nazionale immagini delle bare, dei cari piangenti, del corteo funebre? Dove finisce il progetto giornalistico e dove inizia invece il sorpasso emotivo? A parlare sono anche i commenti lasciati su X, che non risparmiano il programma e i giornalisti inviati:

Il pubblico de La Vita in Diretta (ma si potrebbero citare anche altri programmi tv) non ama questo genere di pagine, specialmente quando ci sono in ballo morti, tragedie, questioni delicate ancora da chiarire. Fare informazione è corretto, raccontare storie di vita è più che giusto, soprattutto quando si tratta di casi di violenza sulle donne. Tuttavia, bisognerebbe concentrarsi sul racconto in sé per sé, senza evadere spazi ed emozioni, ma soprattutto senza diventare morbosi nei confronti del dolore, troppo spesso spettacolarizzato.

Dignità e rispetto, le due parole chiave per una corretta informazione.

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