A distanza di poco più di sei mesi dalla morte di Michele Merlo, in arte Mike Bird (ex allievo di Amici di Maria De Filippi), c’è un medico indagato per omicidio colposo. Ne dà notizia il Corriere della Sera che offre i particolari relativi al lavoro che stanno svolgendo gli inquirenti in merito al caso del decesso del cantante avvenuto il 6 giugno scorso. Cioè quando il giovane fu colpito da un’emorragia cerebrale innescata da una leucemia fulminante. Il punto è che prima di arrivare a una simile situazione clinica di non ritorno, probabilmente si poteva fare di più: questo è ciò che sostiene chi indaga.
L’artista bassanese si è spento all’ospedale Maggiore di Bologna. La procura del capoluogo dell’Emilia-Romagna ha aperto un fascicolo che è ‘approdato’ poi sul tavolo della procura di Vicenza, dove è stato iscritto, così come pervenuto, e assegnato al pm Barbara De Munari.
Morte Michele Merlo, le indagini e la possibilità di salvarlo
Il Corsera spiega che sulla copertina del plico, stando a quanto trapelato, ci sarebbe riportato almeno un nome di un indagato. Il reato contestato è quello di omicidio colposo in merito a condotte mediche. Non è emerso il nome del camice bianco che potrebbe finire sotto accusa ma, sempre come riferisce il quotidiano di via Solferino, non è difficile risalire a chi potrebbe essere chiamato a rispondere del decesso dell’artista veneto.
Dopo gli accertamenti fatti svolgere dal pm emiliano Elena Caruso, in particolare ci si riferisce all’esito dell’autopsia e alle verifiche dei carabinieri del Nas, non è venuta a galla alcuna responsabilità circa l’operato dei medici degli ospedali bolognesi. Questi avevano avuto in cura il giovane cantate fino alla morte. Se qualcosa non ha funzionato, sarebbe da ricercare altrove, in fatti antecedenti rispetto agli ultimissimi e drammatici giorni vissuti da Merlo a Bologna.
Per gli inquirenti le eventuali responsabilità sono da trovare nelle fasi antecedenti, sulle condotte del suo medico di famiglia di Rosà (comune veneto dove abitava il 28enne). E in quelle del Pronto soccorso di Cittadella, Padova. In entrambe le strutture sanitarie hanno già fatto tappa gli ispettori della Regione Veneto.
Michele Merlo, “probabilità di sopravvivenza compresa tra il 79 e l’87 per cento”
Per i periti che hanno svolto l’autopsia, vale a dire il professor Antonio Cuneo e il dottor Matteo Tudini, quando Merlo si presentò al pronto soccorso di Vergato (Bologna) il 2 giugno, prima di essere trasferito al Maggiore, lamentò placche, sangue dal naso, mal di gola e mal di testa. Venne dimesso con la diagnosi di faringite e la prescrizione di un antibiotico. Ma era già troppo tardi. Anche se i medici avessero compreso i sintomi della leucemia, Merlo non si sarebbe salvato. Quindi, per gli inquirenti bisogna fare un passo indietro.
“Qualora la terapia fosse stata somministrata a partire dal 27-28 maggio (prima quindi del 2 giugno, quando giunse a Vergato, ndr) avrebbe avuto una probabilità di sopravvivenza compresa tra il 79 e l’87 per cento“. Questa è la conclusione che scagiona i dottori emiliani. Per tal motivo il fascicolo è passato dalla procura di Bologna (senza indagati) a quella di Vicenza.
I dettagli degli ultimi giorni di Michele Merlo
“Il 26 maggio Michele — ricorda papà Domenico — si presentò al Pronto soccorso di Cittadella con dolori e uno strano ematoma alla gamba. Ma tre ore dopo il triage (gli era stato assegnato un codice bianco ndr), era ancora in attesa. Così, scocciato, andò via”.
Da casa, alcune ore prima, Merlo aveva mandato un’email alla medicina di gruppo di Rosà, allegando la foto del grosso ematoma. Ma la replica di un anonimo assistente di studio – anche questa finita sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti – pareva quasi redarguirlo: “L’utilizzo della mail è unicamente per la richiesta di terapia cronica. Per qualsiasi altro motivo, chiamare in segreteria. Inoltre chiediamo di non inviare foto”.
Quindi Merlo andò al Pronto soccorso il 26 maggio e quando uscì si recò dal suo medico di Rosà. “Mi sono fidato delle sue parole (raccontò di aver preso alcune botte facendo un trasloco, ndr) – ha spiegato Vitaliano Pantaleo che aveva chiesto al 28enne che già assumeva antinfiammatori di tornare nei giorni successivi -. Credo di aver fatto bene il mio lavoro ma non passa giorno che non pensi a lui…”.