Le bombe, la fuga, la marginalizzazione, il vivere in emergenza perpetua e alla fine il successo, strappato con i denti, con la forza di chi riesce a non arrendersi e a riemergere, sempre e comunque, per mancanza di alternative: è la storia di Michael Holbrook Penniman Jr., per tutti Mika, 39 anni. Oggi lo si vede sempre con un largo sorriso, sfavillante nei suoi abiti eccentrici, garbato, ispirato e creativo. Dietro a tutto ciò, c’è una storia complessa, a tratti crudissima: tutta colpa di quella dannata guerra libanese. Sua madre era originaria proprio del Libano, suo padre americano. Lui, terzo di cinque figli: con la famiglia ha girato in lungo e in largo, non per scelta. C’era un conflitto da cui scappare, una casa, la sua, sventrata.
1984: fuga da Beirut. Mika aveva due anni. Oggi a qualche ricordo e lo racconta a 7, inserto del Corriere della Sera. “Noi che torniamo da una cena e troviamo il muro della stanza delle mie sorelle buttato giù da una bomba. La stanza si apriva sul vuoto”, narra il cantante: “Potevamo parlare di vestiti o di scuola, ma si finiva comunque lì, alla guerra. Quel senso di vita che si ferma in continuazione, riparte e si ferma, insieme alle contraddizioni: cadono le bombe e i ristoranti cercano di aprire”. Certi momenti ti segnano, indelebilmente, per sempre. Cosa hanno instillato in lui? “L’idea della rimonta. Puoi perdere tutto da un momento all’altro e ricominciare”.
Dal Libano a Parigi, scappando senza niente. Le bombe cadevano e di tempo per portarsi via cose non ce ne era. Nella capitale francese la sua famiglia cerca di ricreare il Libano che “era cibo, musica, mobili, tappeti, zie. Le mie zie che odoravano di profumo francese, lacca americana, tabacco e Listerine ( ndr: collutorio)”.
La madre si mise subito all’opera, cucendo abiti per bambini assieme ad altre donne quattro donne. “Casa nostra – racconta l’artista -, tra zie e sarte, era piena di donne. Tenere e cattivissime, oneste e disgraziate. Ogni sera c’era qualcuna che arrivava per piangere, o lamentarsi perché un’altra le aveva rubato qualcosa: la borsa, il marito”.
Il sequestro del padre in Kuwait
E il padre? Consulente finanziario, ma troppo “onesto”, afferma Mika: “Negli Anni 80 non potevi fare quel lavoro se eri troppo onesto. Chiunque lo fregava. Gli altri prendevano bonus, lui no, per questioni etiche, diceva. Un individuo così finisce per essere pericoloso, d’intralcio al sistema, difatti perdeva il lavoro”. Però non si abbatteva e subito si rimetteva in gioco: per sopravvivere si ritrovò ad accettare incarichi pericolosi come andare a chiudere una banca in Kuwait. “Peccato che quella notte Saddam Hussein invadesse il Kuwait (la Guerra del Golfo) e mio padre venisse sequestrato”, ricorda Mika.
Sette lunghi mesi di sequestro. A casa si pregava: “Le musulmane bevevano caffè, le cristiane ci obbligavano a recitare il rosario. Ho recitato il rosario per sette mesi”. Alla fine papà venne liberato. La persona che fece ritorno a casa non era più la stessa di prima: “Torna magrissimo, la barba lunga, taciturno. Per noi figli è stato come trovarsi davanti a uno sconosciuto, ne eravamo intimiditi. Non siamo stati più capaci di chiamarlo papà, da quel momento lui è Mike”.
Da Parigi a Londra
Rientrato a casa Mike perde il lavoro. I soldi per pagare la casa non ci sono. Via per un’altra metà: da Parigi a Londra, con la Toyota Previa. Mika e la famiglia vivono per due anni in un Bed & Breakfast. Sette persone in due stanze. Il futuro cantante dovette fare i conti con una nuova realtà, meno confortevole e più dura.
“Io che venivo da una piccola scuola privata – narra Mika – arrivo in questa scuola pubblica di tremila studenti. Arrivo coi vestiti disegnati da me e cuciti da mamma. Pantaloni pink e papillon“. L’accoglienza che gli riservò l’ambiente in cui sbarcò non fu affatto semplice: “Non vengo accettato né dai compagni, né dagli insegnanti. Ce ne era una in particolare che sceglieva tra gli studenti le vittime su cui comporre poesie cattive da far recitare alla classe intera. Di me scriveva: “pigro, idiota, scemo, inconsapevole, stravagante”.
Mika si chiude nel silenzio e viene cacciato da scuola. Sua madre lo protegge:
“Non si abbatte, anzi rilancia: “Ok, dimentichiamo la scuola. – Dice – Da oggi tu ti svegli alle sette come le tue sorelle, mattina al parco, pomeriggio a studiare musica”. Le mie giornate allora diventano tre ore di gioco al parco, poi casa, quattro ore di canto con un’insegnante russa. Il resto del tempo ad aiutare mamma: cucinare, cucire, andare al supermercato. A quattro anni mamma e papà mi regalano un violino. Dopo un’ora il violino era a pezzi. Quando loro mi chiedono perché, io rispondo che volevo vedere cosa c’era dentro. Da dove veniva la musica che poi ho capito venire da un luogo che non si vede”.
Oggi Mika è un artista di successo e vive agiatamente. Con i primi guadagni paga gli arretrati dell’affitto per non far portare via casa alla famiglia. Quante volte ha perso la dimora? “Tre, nonostante fossimo sul punto di perderla sempre, vivevamo con la minaccia costante sulla testa. Noi figli eravamo istruiti su cosa dire a chi bussava alla porta per riscuotere i debiti. “Mi fai paura”, “mi sento a rischio”. E anche, dalla finestra: “Non ci sono adulti nella proprietà”. Erano nascosti sotto il letto. I creditori se ne andavano. Certo, sarebbero tornati, ma intanto noi avevamo salvato la casa per un altro giorno”.
Ancora oggi vive con il timore di poter perdere l’abitazione: “Vivo ancora nel terrore di perdere la casa. Ogni giorno”. Mamma è venuta a mancare, una colonna nella sua vita; è deceduta a causa di un tumore al cervello. La vita senza di lei? “Ho dovuto inventarla. Non vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma vivere ogni giorno come se fossi morto. Visto da quella prospettiva è tutto meraviglia”.