Giorgio Panariello è un mattatore senza filtri, toccasana di benessere dall’accento toscano che da più di tre decenni accompagna a suon di risate le vite degli italiani. Ma la vita del comico, attore, imitatore numero uno di Renato Zero, non è stata per nulla facile, specie durante la sua infanzia e adolescenza. Il successo è arrivato in sordina, con tanta gavetta nelle piccole città di provincia, cercando di mettere da parte qualcosa per ciò che sarebbe potuto avvenire in futuro.
Il cabaret sulle coste della Versilia, le imitazioni sempre più centrate, il grande incontro con gli amici di sempre, Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni. Ma le luci della ribalta non gli hanno mai fatto dimenticare il suo passato tormentato. Cresciuto con i nonni, credendo fossero i veri genitori. Un padre mai conosciuto, nonostante i numerosi appelli per ritrovarlo. Un solo fratello, Franco. Anche la sua una vita travagliata e particolarmente in salita. Fino alla sua terribile scomparsa.
Giorgio Panariello, la triste infanzia
Sofferenze, difficoltà, fama e popolarità, e poi di nuovi i conti con la realtà della sua famiglia. Tutto questo Giorgio Panariello ha deciso di raccontarlo all’interno del suo libro, Io sono mio fratello, edito da Mondadori. La storia vuole riprendere le fila della vita sua e del suo parente più prossimo. E, in particolare, della triste morte sopraggiunta prematuramente per Franco, il 27 dicembre 2011, a soli 50 anni.
Ci sono voluti quasi 9 anni prima che Giorgio potesse riprendere in mano la sua vita e raccontarla senza filtri. Tanto dolore per un fratello che non c’è più, che si sarebbe potuto salvare. La vita di Franco, come racconta Panariello, fu particolarmente travagliata. L’attore nel libro descrive il suo rapporto con il congiunto che nel corso degli anni si è incrinato sempre più a causa del suo avvicinamento alla droga.
Giorgio ammette che quella stessa fine l’avrebbe potuta fare lui perché crescere senza un affetto durante gli anni più importanti è come stare senza un tetto sopra la testa. Lui è stato più fortunato, è cresciuto grazie all’impegno dei nonni materni. Franco, invece, rinchiuso in un istituto, negli anni ha deciso di abbandonarsi nelle braccia della tossicodipendenza. Il comico ha affermato di avergli, più volte, teso la mano, ma che la sua vita aveva deciso di prendere una strada diversa.
Panariello, la scoperta della morte del fratello Franco
Il giorno del ritrovamento del suo corpo, su una panchina del lungomare di Viareggio, pochi giorni dopo il Natale del 2011: fu l’amico Carlo Conti a dare la triste notizia a Giorgio. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti successivamente, furono un uomo e due donne a lasciare Franco steso, da solo.
I reali motivi dell’abbandono non sono mai venuti a galla. Panariello si è battuto fermamente per far condannare quelli che lui indica come gli assassini del fratello. Gli “amici” di Franco lo avevano abbandonato malamente, invece di trasportarlo in ospedale dove con le cure probabilmente si sarebbe potuto salvare e rimettere in sesto
Lo scrive a chiare lettere all’interno delle pagine del libro: “Franco non morì di overdose“. Un racconto struggente che il comico toscano ha deciso di riproporre prima di tutti nella trasmissione di Rai1 Domenica In, dall’amica Mara Venier. “Io ho cercato tutta la vita la serenità e l’ho ottenuta da poco: la felicità passa in fretta” – aveva affermato durante l’ospitata.
Una narrazione difficile ma che Panariello ha voluto dedicare al fratello. Si è battuto durante tutto il processo affinché gli uomini che avevano lasciato suo fratello a morire da solo, al gelo, potessero essere condannati per omicidio colposo. “Ero convinto che ci fosse una sostanziale differenza tra l’omettere di aiutare una persona in difficoltà e l’abbandonarla a se stessa provocandone la morte“.
La punizione definitiva è tuttavia stata molto diversa. I tre sono stati condannati a sei mesi di reclusione, ma nessuno ha a oggi fatto un giorno dietro le sbarre. Giorgio ha dunque deciso di convivere con questa consapevolezza, ma per i tre il destino – afferma – ha deciso una condanna peggiore.
“Ogni volta che sentiranno pronunciare il mio nome; ogni volta che una sirena risuonerà nella notte, la loro mente tornerà a quella sera, a quello che hanno fatto e soprattutto a quello che non hanno fatto. Questa è la loro condanna a vita, il loro ergastolo”.