Ron, al secolo Rosalino Cellamare, dopo otto anni di silenzio musicale sul fronte brani inediti, torna sulla scena con l’album ‘Sono un figlio’, in uscita il 30 settembre 2020. Trattasi di un lavoro intimo, la cui canzone che dà il titolo all’album è un racconto familiare, quello dei suoi genitori. L’artista, intervistato dal Corriere della Sera, ha anche parlato del Festival di Sanremo, kermesse che lo ha visto protagonista per ben otto edizioni, di cui una vinta. Correva l’anno 1996 quando, assieme a Tosca, sbarcò sull’Ariston con l’indimenticabile ‘Vorrei incontrati fra cent’anni’, aggiudicandosi il trionfo. In questi anni, però, sul celebre palco della canzone italiana non lo si è visto. E a tal proposito Ron ha speso parole affilate nei confronti di chi gestisce il concorso oggi. Amadeus non viene mai menzionato, ma dietro allo sfogo di Cellamare non può che esserci proprio il direttore artistico del Festival.
“Non mi hanno invitato… Sarebbe il festival della canzone, quindi dovrebbero scegliere in funzione dei brani, invece mi sembra che sia tutto sui personaggi, su chi canta”. Così Ron in merito alla scelta dei musicisti fatta negli ultimi anni da parte di chi ha le redini di Sanremo. Parafrasando, secondo Rosalino, si dà più spazio all’attualità dello spettacolo piuttosto che al valore musicale assoluto dei brani che vengono presentati al concorso. Una dichiarazione in qualche modo inaspettata perché giunge dalla bocca di chi, come Ron, è un personaggio non incline a fare polemiche e ad aizzare polveroni. Insomma, se una posizione simile l’avesse espressa uno come Morgan non avrebbe provocato alcun sussulto di sorpresa. Se invece è Cellamare a scandirla la questione è degna di nota.
Nonostante non abbia calcato l’Ariston negli ultimi anni, Ron guarda avanti, senza abbattersi. D’altra parte ha le spalle larghe, grazie a una carriera stellare, alimentata da decenni di successi. Ora si rimette in gioco con ‘Sono un figlio’:
“Ho voluto raccontare la storia dei miei genitori nella canzone che dà il titolo all’album. Me l’avevano raccontata e a 13 anni l’avevo scritta nel mio diario. A fine guerra, mio padre era in fuga dei tedeschi e si rifugiò in una cantina dove, il mattino dopo, mia madre lo trovò. Da lì è successo tutto. Ora che ho un nipotino piccolo mi pento di non aver avuto figli miei”.
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Spazio a un salto nella sua infanzia: “Ero un bambino apparentemente dolcissimo ma facevo cose allucinanti ai compagni di giochi. Una volta ne spinsi uno nella cisterna, era vuota, del gasolio. I suoi genitori non la presero bene”. Rosalino era un bimbo vivace, ma non un bullo. Anzi lui ha subito episodi spiacevoli: “Piuttosto, sono stato bullizzato. In quarta o quinta elementare c’erano dei ragazzotti che mi seguivano per prendermi a pedate. Soffrivo dentro, ma non dissi nulla. A fine scuola vennero a chiedermi scusa, però io le avevo prese…”.
Per Ron, la parola figlio ha anche un altro significato. Oltre a sentirsi figlio di mamma e papà si sente anche un frutto d’amore del pubblico italiano: “Ho iniziato la mia carriera a 16 anni, mi sento anche figlio degli italiani: mi piace camminare per strada e incontrare le persone”.
L’artista torna poi sull’attualità: “Il covid ci ha fatto male ma ci ha costretti a pensare chi siamo. All’inizio se passavo vicino al piano e alla chitarra scappavo, poi ho ascoltato musica nuova e mi è tornata la voglia. La musica mi ha sempre salvato”. Nelle note, non solo le sue, ha sempre trovato un rifugio, un appiglio per superare i momenti no: “Quando tornavo a casa da un Sanremo disastroso, come quello del 2017 in cui venni eliminato, mettevo su un disco e tornavo dritto in piedi”.
A proposito sempre di Sanremo e passato. La sua prima volta al Festival fu con Nada. “Se riguardo ai filmati in bianco e nero dell’epoca – ricorda -, vedo un ragazzo pieno di energia e tenerezza, dimostravo meno della mia età. Incontrai i miei miti dietro il palco, vidi piangere una cantante famosa perché eliminata e non capivo il perché della tristezza”.